Urban Planning srl
La rottura fra la dipendenza a un Altro e la concezione di libertà come assenza di legami fa decollare l’epoca moderna, dal Rinascimento fino ad oggi. Nel Rinascimento si riconosceva ancora un ordine, un fulcro (la prospettiva) poi la città diviene sempre più dispersa, policentrica, tecnologica. La nuova città è emblema dell’uomo che attraverso la scientificità e il rigore logico-matematico può ambire alla città perfetta e alla felicità futura. È il positivismo e l’ufficializzazione di una disciplina come l’urbanistica, la sociologia, ecc. L’uomo è esso stesso un’unità, un ingranaggio studiabile all’interno di un contesto più ampio.
Nell’urbanistica il criterio è ricondotto al concetto di zooning come unità omogenea e il metro quadro diviene l’unità regolamentatrice.
Oggi queste logiche risultano tutte saltate: la città è sempre più un organismo anonimo, disperso, non identitario. Il cittadino non sente più l’appartenenza a quel determinato luogo. È la globalizzazione, la crisi della ragione cartografica, per citare Farinelli. È la crisi delle logiche che hanno tenuto banco e formato la cultura occidentale: il tempo e lo spazio.
Così oggi l’urbanistica non può più basarsi attraverso analisi obsolete che descrivono una società, una cultura e un’economia che non esiste più. La crisi globale ha rotto tutti questi schemi.
L’urbanistica allora diviene il tentativo di coordinamento di ambiti multidisciplinari, complessi e che devono tradursi in risultati ed elementi flessibili. Analogamente al principio che ha costituito il mondo del web, di internet e quindi delle reti che oggi occupano l’intero globo, così anche l’energia può costituire lo scenario a rete che rivede le nostre città.
Smart Grid, distribuzione di energia da una produzione diffusa di energia rinnovabile, costituisce l’opportunità di sviluppo della città di domani. La pianificazione, la facilitazione di opere e iniziative in tal senso costituiscono sicuramente nuovi sentieri di pratiche urbanistiche che guardano avanti e non riciclano concetti
ormai superati secondo logiche e principi più ideologici che realisti.
Una nuova urbanistica non può prescindere dalla tutela del paesaggio dalla sostenibilità delle scelte, dall’efficientamento energetico del patrimonio costruito, dalla sfida a rendere possibile una costruzione a consumo di suolo zero, ecc.
In letteratura sono presenti diversi studi riconducibili all’ecourbansitica intesa come sommatoria di interventi in ambito urbano fortemente orientati all’edilizia bioclimatica e alla bioarchitettura. Certo è che l’ecourbanistica trova le sue radici nell’ecologia urbana, nelle definizioni sulla città sostenibile, nel concetto appunto che la città sia da considerare come un ecosistema naturale da riequilibrare con gli altri ecosistemi terrestri. Mc Loughlin, già alla fine degli anni ’60 definiva la città come un sistema dinamicamente complesso.
Alla Conferenza dell’ONU tenutasi a Stoccolma nel 1972, già si affermava che la qualità della vita, della società e dell’ambiente, sono affidate alla responsabilità tradotta in azioni immediate e concrete, di ogni donna, di ogni uomo e di ogni comunità, per una prospettiva non di catastrofe, ma di speranza per il domani…. Difendere e migliorare l’ambiente per le generazioni presenti e future è diventato obiettivo prioritario per l’umanità.
Ogni territorio o parte dell’ambiente, con l’insieme degli abitanti prende il nome di ecosistema, all’interno del quale accadono scambi di materia e di energia, misurabili nel loro valore d’uso, perchè utili ai rapporti reciproci. Negli scambi naturali dell’ambiente non guadagna nessuno né tantomeno ci sono rifiuti perché sia materia che energia non vengono scartate, ma entrano solo nel ciclo degli scambi.
La morte di un vegetale o di un animale entra a far parte del sistema, traducendosi in nutrimento per gli altri esseri viventi. Questo sottolinea ancor di più che l’ecologia è la scienza della vita e delle sue trasformazioni. In essa l’unica cosa che si degrada è l’energia, meglio, la qualità dell’energia, poichè alla fine del processo di trasformazione c’è sempre meno energia utile, fino allo stato dell’entropia.
La costruzione di una società alternativa capace di rappresentare il superamento reale di una società come l’odierna, immersa negli sprechi, disturbata dalle distorsioni tecniche e dalle alterazioni ambientali,era stata pensata, fin dal 1945 da L.Mumford, nel saggio, “Tecnica e cultura”. Ma il superamento di ciò che costituisce il regno del disordine, cioè l’affermazione di una società neotecnica, meno inquinata, più razionale, pianificata e meno caotica non va indicata nei ritorni utopici alla vita bucolica dei campi e delle campagne, bensì nell’affermazione di in una politica globale di riequilibrio dei rapporti tra città e campagna, di diffusione sistemica delle attività industriali e produttive nel territorio. Non si può permettere la diffusione di attività industriali per la produzione di merci sbagliate in luoghi sbagliati. Un riassetto del territorio spinge a pensare alla produzione di nuove merci e nuove materie industriali ottenibili da prodotti vegetali, dalla “biomassa” prodotta dal sole con la fotosintesi e i grandi cicli biochimici e geochimici naturali. E’ vero che si tratta di mutamento di culture e comportamenti, ma è inevitabile che ci si riappropri della conoscenza scientifica, dei rapporti tra uomini, società e ambiente.
Conoscere il rapporto uomo – ambiente nello svolgimento dei cicli storici significa ricostruire non tanto gli aspetti morfologici, formali e paesistici in senso stretto, quanto individuare le linee essenziali delle trasformazioni che ha subito un determinato territorio.
Da qui l’importanza del recupero della storia che ci permette di affrontare un problema, studiando le origini di esso; di conoscere bene una situazione sapendo come e quando è venuta a determinarsi.
Ma la riscoperta della storia e della propria comunità non può essere iniziativa di pochi. Ognuno deve essere messo in grado, in base alle testimonianze, alle indagini e ricerche che riesce a fare di ricostruire le fasi di una certa organizzazione del passato, di rendersi conto delle cause della decadenza o trasformazione progressiva del suo territorio, comprenderne i processi, scoprire le interdipendenze dei fattori, grazie ai quali o a causa dei quali, il territorio ha assunto una certa configurazione di spazio ereditato, suscettibile di nuove evoluzioni. Per esempio, nello studio di un centro abitato, occorre studiare la struttura urbanistica insieme a quella politica, gli aspetti sociologici dei gruppi e delle attività con le dinamiche economiche che caratterizzano certi segmenti, e così di seguito. Anche perché i fatti che determinano la strutturazione di un territorio devono essere esaminati secondo un ordine di importanza, vale a dire: l’economia, ossia la produzione di beni e di merci; il potere politico o amministrativo che ha motivato le scelte; il quadro giuridico che legittima l’appropriazione del suolo e della produzione; le conseguenze e i risultati verificatisi in seguito ai processi di antropizzazione sia sul piano culturale che sul paesaggio.
Affrontare il tema dell’eco urbanistica, vuole anche dire comprendere le dinamiche dell’urbanesimo. L’immigrazione dalle campagne e dai piccoli centri nelle grandi città di ingenti masse, per la maggior parte rurali, provenienti sia dal territorio circostante sia da zone anche lontane. È causa di grandi trasformazioni e spesso, se troppo rapido e non controllato, di gravi squilibri demografici, economici, sociali e culturali. Al determinarsi di un surplus agricolo – alimentare – e dunque alle favorevoli condizioni climatiche, idrografiche e pedologiche – si deve la formazione delle più antiche città, verificatasi, fra il 7° e il 2° millennio a.C., in Mesopotamia, Egitto, India, Cina. Le dimensioni del fenomeno, nell’antichità, sono difficilmente quantificabili: Roma, al culmine della potenza imperiale, avrebbe raggiunto il milione di abitanti, ma tale dato è forse, sovrastimato. Una ripresa dell’urbanesimo si ebbe in epoca medievale e, in seguito, con l’inizio delle esplorazioni geografiche e dell’espansione coloniale. Ma l’urbanesimo, così come modernamente inteso e definito, si è sviluppato solo a partire dal 19° sec., in conseguenza della rivoluzione industriale: questa ebbe come fattore di localizzazione vincolante la presenza di giacimenti di materie prime, verso cui si diressero grandi flussi migratori dalle campagne, dando origine ad agglomerazioni urbane monocentriche. Il cuore dell’urbanesimo fu prima l’Europa occidentale (Germania, Gran Bretagna, Francia,). Il connesso sviluppo dei trasporti marittimi e terrestri (ferrovie), con la conseguente intensificazione degli scambi, determinò poi l’allargarsi del fenomeno ai paesi che, progressivamente, giungevano allo stadio del decollo industriale, primi fra tutti gli Stati Uniti. Intorno al 1870 si contavano, nel mondo, circa 160 ‘grandi città’ (con più di 100.000 ab., con alcune oltre il milione: per prime, Londra e Parigi), parte delle quali, però, in aree con differente struttura economica ma in forte espansione demografica (India, Cina. La sostituzione del petrolio al carbone come fonte di energia primaria e l’esplosione dell’industria dell’automobile hanno trasformato da allora il modello insediativo della popolazione e delle attività economiche, dando luogo al progressivo decentramento delle residenze e delle unità produttive.
Continuavano a espandersi solo le agglomerazioni del 3° mondo, dove la mancata industrializzazione e gli effetti della decolonizzazione esaltavano il ruolo delle capitali politiche. Nei paesi a economia avanzata, caratterizzati dal fenomeno dell’urbanizzazione, si va affermando il modello della megalopoli, configurazione territoriale che presenta un elevato livello di organizzazione e integrazione funzionale, tale da consentire un’interrelazione stabile fra le aree urbane coinvolte. Esempio tipico è Tokyo che, con le città di Yokohama, Kawasaki e Saitama, forma la maggiore megalopoli del mondo (34 mil. di abitanti).
A fronte del fenomeno dell’Urbanesimo avanza il tema della Decrescita. Com’è noto un pilastro della filosofia politica denominata “decrescita” è la bioeconomia, cioè il considerare effetti e impatti dei processi industriali sugli ecosistemi. L’architettura e l’urbanistica come tutte le arti e le scienze applicate hanno subito l’influenza dell’ideologia neoliberista e il paradigma dominante: vendere, figlio dei dogmi: crescita del PIL, espansione monetaria e petrolio.
Prima delle rivoluzioni industriali l’architettura poneva l’uomo e non la tecnica al centro della progettazione e nacquero le proporzioni armoniche e le città ideali. Prima dello sviluppo delle discipline giuridiche e finanziarie (rendita urbana) la tecnica architettonica esprimeva arte e virtuosismi spaziali. Prima che le SpA automobilistiche dettassero il dogma delle geometrie stradali, lo spazio urbano e le tipologie edilizie rispettavano natura e armonia umana. Tutti questi avverbi temporali (prima) potrebbero lasciar intendere che si vivesse meglio decenni o secoli fa, in un certo senso è così visto che non esisteva né la chimica di oggi e né l’impatto ambientale di oggi prodotto dai sistemi industriali e dall’eccessiva domanda rispetto all’offerta (una crescita infinita). E’ accaduto che il pensiero dominante odierno, l’avidità, figlio di un’“evoluzione” secolare ha condotto i progettisti su scelte non utili socialmente. Infatti, in termini pratici i centri storici rappresentano il più grande patrimonio edilizio da conservare, rispettare e recuperare mentre i piccoli centri urbani sono l’opportunità concreta di un ritorno al buon senso grazie all’uso di nuove tecnologie che fanno decrescere il PIL ma crescere la qualità della vita. Tutte le aree urbane cresciute negli anni dal secondo dopo guerra in poi, possono essere oggetto di piani particolari ad hoc applicando le tecnologie della decrescita felice e il buon senso, già immaginato dagli utopisti dell’urbanistica. Non c’è alcun dubbio che il pensiero di I.Illich (1926–2002) abbia influenzato generazioni di architetti e urbanisti contemporanei che sin dagli anni ’70 hanno iniziato a immaginare progetti sostenibili. Prima di Illich, E. Horward (1850–1928) immaginò la Garden City secondo forme e densità congeniali all’uomo, anche se a scala minore, il modello di base rimase Sforzinda del Filarete (1400– 1469). In Italia, spesso, progetti ragionevoli sono rimasti sulla carta poiché le lobbies e le discipline giuridiche (rendita) hanno piegato le migliori idee a servizio dell’avidità di pochi. L’edilizia più degli altri ambiti può insegnare come valutare l’impatto ambientale delle scelte progettuali, l’edilizia è il settore dove la bioeconomia è applicabile immediatamente. Il progettista può valutare gli impatti tramite standard riconosciuti e condivisi e informare committenti e popolazioni sulle proprie scelte che implicano consumi energetici e analisi del ciclo vita degli edifici (LCA).
Fino a quando non vi è stata una presa di coscienza sul “picco del petrolio” la consuetudine politica e progettuale ha accettato che si realizzassero sprechi energetici, facendo aumentare il PIL e peggiorare la qualità della vita. Il futuro propone l’autosufficienza energetica con fonti alternative e ribalta il paradigma annullando gli sprechi, e cancellando la dipendenza energetica dalle SpA monopoliste, grazie all’impiego di un mix tecnologico a piccola scala e l’uso di tecniche e materiali costruttivi compatibili con l’ambiente (nuovi impianti e reti “smart grid” che razionalizzano l’uso dell’energia). Il legislatore dopo molti anni, nonostante la disattesa L. 10/91, ha introdotto norme che si sono adeguate agli indirizzi tecnici più avanzati e ragionevoli in termini di efficienza energetica. Con l’entrata in vigore del D. Lgs. 192/05 e successive modificazioni – D. Lgs. 311/06 e D.P.R. 50/09 – i parametri e gli indici edilizi sono stati cambiati e aggiornati a prestazioni energetiche che condizionano la progettazione architettonica (con una maggiore massa volumica dei materiali – involucri – si raggiungono idonei valori di trasmittanza riducendo i consumi energetici per la climatizzazione degli ambienti). Bisogna rendersi conto che in quest’ottica non sono i consumi a dettare le regole della politica, ma i comportamenti virtuosi che determinano una riduzione degli stessi e un aumento della sovranità popolare tramite le reti “smart grid”, poiché ogni edificio e ogni cittadino diventa produttore e consumatore di energia.
Nel recente saggio La terza rivoluzione industriale, Jeremy Rifkin scrive: Nelle mie esplorazioni sono giunto a capire che le grandi rivoluzioni economiche nella storia avvengono quando nuove tecnologie di comunicazione convergono con nuovi sistemi energetici. (…) Nel futuro prossimo venturo, centinaia di milioni di persone produrranno in proprio energia verde a casa, negli uffici e nelle fabbriche, e la condivideranno con gli altri attraverso una “ Internet dell’energia” simile a quella che utilizziamo oggi per creare e condividere informazione. La democratizzazione dell’energia porterà con sé una radicale riorganizzazione delle relazioni umane, con effetti sui modi in cui conduciamo le attività economiche, governiamo la società, educhiamo i figli e ci impegniamo nella società civile.
Nel 2007, il settimanale britannico The Economist pubblicava un contributo di J.Grimond dal titolo “The world goes to town” (Il mondo va in città), dedicato all’evoluzione in chiave urbana dell’umanità. Secondo l’autore lo sviluppo umano coincide con quello delle città, tanto da poter parlare di un’evoluzione dell’homo sapiens in homo urbanus. Come sottolinea Grimond, è stato nelle città che l’uomo si è liberato dalla tirannia della terra ed ha potuto sviluppare capacità nuove, imparare da altra gente, studiare, insegnare e dedicarsi all’arte. Vista come un agglomerato capace di accentrare risorse, ricchezza e innovazione, la città appare come la fucina ideale per lo sviluppo della nostra specie. Con l’avvento dell’urbanesimo, la velocità di crescita del genere umano in termini di popolazione, ricchezza e tecnologia, è aumentata in modo esponenziale. Nel ‘800, solo il 3% della popolazione mondiale viveva in città, oggi siamo a oltre il 50%. Nel 2025 si prevede che in Cina ci saranno 15 megalopoli di oltre 25 mil. di abitanti. Siamo di fronte ad un trend di dimensioni globali gigantesche e le sfide connesse sono altrettanto importanti. Parliamo di scarsità di risorse naturali, difficoltà di approvvigionamento energetico, aumento della popolazione mondiale, cambiamenti climatici. Eppure è proprio la città, col nuovo concetto di urbanesimo, che offre le soluzioni più convincenti per affrontare queste sfide impellenti.
Circa il 22% del fabbisogno di energia deriva dalla residenza che ha un patrimonio dove solo il 7-8% è successivo al 1991 e dove più della metà corrisponde a costruzioni edificate tra il dopoguerra e gl’anni’70 e quindi estremamente vetusto, obsoleto ed energivoro. Queste caratteristiche costituiscono la situazione generale dello stock abitativo italiano.
L’efficientamento e la rigenerazione urbana sono strategie positive da analizzare in un ottica di risparmio economico e migliore qualità della vita, anche in termini di sicurezza.
Nel dopoguerra le città si sono estese creando un effetto dispersivo e snaturando i rapporti fra la città e la campagna. Oggi abbiamo alcuni quartieri degli anni ‘60 e ‘70 che sono divenuti quasi dei segni storici nel paesaggio. Ma, contro una posizione ultra conservatrice generalmente presente in Italia, cosa nel tempo si è più trasformato della città, la periferia o il centro storico?. E’ chiaro, il centro storico ha dovuto sempre adattarsi alle nuove esigenze e quindi è stato oggetto di trasformazioni continue (positive e non). A fronte di questo possibile non trasformare e rigenerare periferie costruite con standard qualitativi e quantitativi (non solo urbanistici, ma anche edilizi) oggi non più adeguati risulta irragionevole.
La città è una sintonia, un dialogo fra conservazione e innovazione. Come notava Aldo Rossi, la città è simile a una stratificazione geologica, non è possibile progettare una città “finita”, un disegno completo e definitivo degli spazi urbani. E, allo stesso modo, non si può dichiarare “finita” e immutabile una città storica, come se non fosse uno spazio da vivere. La conoscenza delle trasformazioni passate e di quelle in atto, tanto potenziata dall’impiego delle nuove tecnologie, consente di offrire una nuova base scientifica al processo di pianificazione, classificando le diverse componenti territoriali in rapporto alla loro trasformabilità.
La crescita urbana dal dopoguerra ad oggi ha di fatto modificato il paesaggio, probabilmente in maniera definitiva. La crescita delle città hanno portato alla realizzazione di un continuo urbano tale che non è più chiaro dove finisca una città e dove ne incominci un’altra. La città, da un geometria puntuale è divenuta sempre più una geometria areale snaturandone l’identità. A dare evidenza di questo la stessa introduzione di nomi composti quali nuovi ambiti di gestione territoriale: area metropolitana ad esempio L’avanzare della città e il relativo consumo di suolo ha evidentemente comportato una maggiore e irrisolvibile capacità di gestione (congestione). Tra queste, l’enervocità
del sistema. Più estensione urbana ha implicato necessariamente un sistema di mobilità che difficilmente poteva essere garantito da una mobilità pubblica favorendo una mobilità di tipo privato con conseguente maggiore stress urbano e ambientale oltre che di qualità della vita. Stesso discorso per quanto riguarda le reti tecnologiche e i servizi. E’ possibile coniugare nuove costruzioni a consumo di suolo zero? Sembra di sì. In altri paesi incominciano a verificarsi fenomeni di edificazione dentro o sopra edificazione esistente, con risultati estremamente interessanti. Fabbriche o edifici in disuso che potrebbero essere abbattuti favorendo nuove edificazione e che, invece vengono convertiti, riciclati, perché anche la demolizione porta ad un consumo energetico. Nuovi concept anche low-cost che portano a creare vere e proprie comunità con servizi e quant’altro.
E’ sicuramente uno stimolo progettuale interessante che provoca le logiche con le quali normalmente si è affrontata la progettazione e la costruzione. E’ un nuovo modo di recuperare lo spazio, un nuovo modo di costruire “sopra o dentro” al costruito creando volumi senza usare suolo. Uno stimolo a ripensare alla città, anzi, a riappropriarci del valore e del senso della città.
In un bel libro che Carlos Martì Arìs dedica alle persone che continuano ogni giorno a studiare architettura, l’autore spagnolo paragona la teoria alla centina, ovvero alla costruzione che si smonta e scompare ogniqualvolta il lavoro di costruzione dell’arco è finito. La teoria è collocata a servizio dell’opera: “il progetto appartiene a una forma di conoscenza che nasce dall’azione e si sviluppa proprio con il fare. Non è il risultato statico e stabilito a priori, bensì comporta un processo dialettico tra pensiero e azione che rimane sempre attivo”. Come non pensare al modo di lavorare degli artigiani di un tempo. Se la storia serve per il presente, non possiamo costruire un futuro se diamo per scontato la tradizione. Il poeta Eliot in una sua opera diceva “la tradizione non è un patrimonio che si può ereditare in modo automatico … avere senso storico significa essere consapevole non solo che il passato è passato, ma che è anche presente”. Il nostro mondo si trasforma, questa trasformazione necessità di essere riconosciuta in una tradizione. Eliminare la tradizione impedisce una effettiva innovazione. Esiste un dialogo continuo che anche un grande innovatore come Stravinsky riconosce dicendo “tutto quello che non è tradizione, è plagio”. E’ per questo che il nostro tentativo è consapevolmente appoggiato ad una storia, e questa è la forza del nostro paese e andrebbe riconosciuta e valorizzata. Gli studi, le analisi costituiscono strumenti per comprendere in maniera integrata, senza ideologia o pregiudizio.
Urban Planning srl intende continuare l’analisi e la ricerca portata avanti in precedenza dai singoli sul tema della eco-urbanistica e più specificatamente della rigenerazione architettonica e urbana delle aree poste in localizzazioni non idonee e sviluppatesi negli anni ’50 e ’60. In particolare, proprio per il modo operandi della società e delle finalità, la struttura intende approfondire ricercando e sperimentando nuove forme e modalità sostenibili di riconversione, rigenerazione e rilocazione di fabbricati fortemente energivori, non adeguati strutturalmente per la normativa antisismica e posti in posizioni ad alto rischio idrogeologico. Gli eventi che negli ultimi decenni hanno caratterizzato la cronaca riportando alla luce l’inadeguata, se non assente, manutenzione del territorio unitamente alla fragilità dello stesso con disastri anche correlati ai cambiamenti climatici, hanno reso sempre più evidente la necessità di ri-assettare l’espansione urbanistica e il consumo del suolo ripensando con progettualità l’organismo della città. Normative, osservatori, proposte e studi legati alle dinamiche dello sprowl e di nuove forme urbane di ridisegno e fruizione della città hanno reso ancora più consapevole l’emergenza di tradurre in metodi sostenibili economicamente e operativamente tali interventi.
UP Urban Planning srl intende avere un ruolo importante su questi temi relativi allo sviluppo urbano sostenibile e sicuro. Per questi motivi la ricerca che UP intende portare avanti è definire e verificare modelli e sostenibilità di riconversione e rilocazione con ricostruzione di fabbricati abitati tenendo in considerazione le diverse problematicità e aspetti sociali, economici, patrimoniali, geologici, architettonici, urbanistici e di diritto che simili interventi comportano. Insieme a questo aspetto la ricerca e lo sviluppo che UP intende portare avanti è incentrato anche sulle metodologie di ricostruzione architettonica dei fabbricati individuando e sperimentando soluzioni innovative facenti perno nei principi della sostenibilità, ovvero nell’avvio di processi di cambiamento per cui lo sfruttamento delle risorse, la direzione degli investimenti, l’orientamento dello sviluppo tecnologico e i cambiamenti istituzionali sono resi coerenti con i bisogni futuri oltre che con quelli attuali, secondo quando definito anche dal Rapporto Brundtland del 1987. UP Urban Planning srl quindi per una nuova eco-urbanistica dove convergano economia ed ecologia (la parola ecos è casa, ambiente), affinchè la sostenibilità diventi motore per rivedere le nostre città e creare nuove opportunità di lavoro.
Data costituzione della società UP, Bologna 2 settembre 2015
L’auspicio e l’augurio per il nostro lavoro con una frase di Galileo Galilei
Non basta guardare, occorre guardare con occhi che vogliono vedere, che credono in quello che vedono.